L’innovazione digitale è ormai da più di un decennio il substrato sul quale si muove l’ottimizzazione del workflow in ambito medicale. L’anatomia patologica non fa eccezione, nonostante sia una delle discipline più complesse dell’ambito diagnostico.
Come è noto, la digitalizzazione dei campioni per l’indagine dell’anatomo patologo prende il nome di Patologia Digitale.
Essa consente agli operatori di ottenere una serie di vantaggi che tenderanno a crescere nei prossimi anni:
Nel “13° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici – La digital pathology, una risorsa al servizio dei pazienti” (Fraggetta, L’Imperio, Sapino della SIAPeC), si legge come la Patologia Digitale sia “un’arma aggiuntiva per garantire il massimo standard di cura per il paziente”.
È necessario dare uno sguardo alla Digital Pathology da un punto di vista ingegneristico per capire quali siano i principali colli di bottiglia del sistema, in modo da poter consigliare l’anatomo patologo sulla scelta degli elementi a disposizione.
Una workstation di DP consta di una console digitale (banalmente: un PC), di un monitor di servizio, utile alla gestione dei dati, e di un monitor di visualizzazione, attraverso il quale il medico valuta le WSI generate dalla digitalizzazione dei vetrini.
Chiaramente, volendo valutare il sistema nella sua interezza, l’attenzione va posta innanzitutto sulla generazione delle immagini (quindi sugli scanner). Al contempo le risorse di rete debbono essere commisurate al peso dei file WSI, così come lo storage a disposizione, seppure spostato su soluzioni cloud. I software per la visualizzazione delle WSI, i quali fungono da microscopio virtuale, con le varie opzioni che permettono l’ottimizzazione della diagnosi, rivestono una fondamentale importanza. Le richieste di sistema di questi software si traducono, ovviamente, nelle specifiche della console digitale.
Tuttavia, come accennato dal presidente della associazione nazionale di anatomia patologica SIAPeC-IAP dottor Filippo Fraggetta, punto di riferimento mondiale dell’ambito:”Non esiste uno standard nella scelta della CPU o della RAM, poiché la gestione delle WSI può essere influenzata da diversi parametri (ad esempio, connessione di rete, switch, ecc.). Un recente computer per gaming di fascia media supererà senza dubbio i requisiti tecnici per una workstation per Digital Pathology”.
Non è scopo di questo articolo approfondire le necessità di risorse legate al (futuribile) impiego della intelligenza artificiale in ambito diagnostico.
Giunti alla fine dell’ideale schema a blocchi del flusso di lavoro, si affronta inesorabilmente la fase diagnostica: un medico di fronte allo schermo. Si comprende bene come il monitor rappresenti, dunque, un elemento fondamentale della patologia digitale.
Come detto dal professor Jacob T. Abel (et.al) nel paper:” Display Characteristics and Their Impact on Digital Pathology: A Current Review of Pathologists’ Future “Microscope”:” La scelta del display per la patologia digitale è importante quanto la scelta attuale del microscopio. Come il microscopio, il display è un “portale” regolabile e tangibile per i patologi e il personale di supporto, il quale consente di esaminare i vetrini istologici e citologici per molte ore al giorno.”.
Eppure, non esistono line guida internazionali armonizzate e in particolare in Italia non vi è alcun riferimento formale. Questo aspetto è stato ben evidenziato nel convegno di Napoli, con una esplicita richiesta degli operatori di mercato al presidente. Se per gli altri elementi della DP esistono routine cliniche e linee guida approvate da agenzie regolatorie, per i display non esiste, in Italia, nulla di tutto ciò.
In assenza di queste linee guida, proviamo a rispondere, sintetizzando i vari dati a disposizione, alla domanda seguente: quali sono le caratteristiche fondamentali di un monitor per Patologia Digitale?
In primis, riportiamo le parole proprio di Fraggetta (et.al.), il quale, nel suo paper: ”Best Practice Recommendations for the Implementation of a Digital Pathology Workflow in the Anatomic Pathology Laboratory by the European Society of Digital and Integrative Pathology (ESDIP)”, accenna alle caratteristiche comunemente adottate dalla maggior parte dei dipartimenti:
Nel documento, comunque, si sottolinea come:” Tuttavia, i requisiti minimi dei monitor DP sono ancora dibattuti e non esiste un consenso su come valutarne la qualità. Le fonti esterne di variabilità complicano ulteriormente la questione, come la distanza dal monitor e le condizioni di illuminazione della stanza, rendendo più difficile un confronto imparziale tra i diversi dispositivi disponibili.”.
Secondo la Korean Society of Pathologists (“Recommendations for pathologic practice using digital pathology: consensus report of the Korean Society of Pathologists”, Yosep Chong et.al), le caratteristiche debbono essere, possibilmente, le seguenti:
Nel documento si precisa, doverosamente, come un aumento della risoluzione possa essere del tutto inutile se non coerente con la risoluzione originale ottenuta post scannerizzazione. Al contempo, una risoluzione troppo bassa porta, ovviamente, a una visualizzazione scorretta, o comunque non ottimizzata, del campione.
Secondo le linee guida della CAP (College American Pathologists) e della JSP (Japanese Society of Pathology), una risoluzione di 1280×1024 e una diagonale di 19 pollici, possono essere sufficienti allo scopo. La JSP precisa la necessità di una luminanza superiore a 170 cd/mq e un contrasto superiore a 250:1.
Diverso il parere della SEAP (Società di Anatomia Patologica della Spagna): diagonale di 22”, il contrasto minimo deve essere 1000:1 ma la luminanza superiore anche solo a 100 cd/mq.
Più stringenti le linee guida tedesche (FAGP, Federal Association of German Pathologist):
Volendo fare una summa conclusiva, è particolarmente utile includere le considerazioni fatte nell’ultimo convegno della SIAPeC-IAP – Società Italiana Anatomia Patologica, dopo un proficuo dialogo con numerosi esperti del settore.
L’assenza di linee guida ufficiali è un vuoto che va colmato, vista l’importanza dell’elemento di visualizzazione nel workflow diagnostico. Vi sono comunque delle indicazioni, dettate dall’uso comune dei più importanti attori dell’ambito. Visti anche gli esponenziali miglioramenti tecnologici degli ultimi anni lato display, possiamo sintetizzare come segue:
Nella diagnostica patologica è di particolare importanza l’ampiezza dello spazio colore, proprio per la tipologia di immagini da visualizzare. Ergo è necessario badare alla massimizzazione delle Color gamut NTSC, sRGB e DCI-P3, aspetto spesso trascurato.
Inoltre, appare ovvio come l’ottimizzazione del segnale passi dall’utilizzo di schede video dedicate e opportunamente associate alle caratteristiche del monitor e selezionate in base alle esigenze di elaborazione del segnale.
È bene tener conto che la maggior parte degli operatori lavora con monitor di grado “consumer”, non necessariamente rispondenti alle caratteristiche citate, ma soprattutto non necessariamente di grado medicale.
L’utilizzo di monitor medicali non è solamente una faccenda legata alla conformità alla MDR 2017/745, oltre che la rispondenza alle norme tecniche IEC 60601-1 e 60601-1-2, o ancora alla sede di installazione del dispositivo. Le caratteristiche dei dispositivi progettati in ambito medicale, e in particolare dei monitor medicali specifici per la patologia digitale, rispondono a tutte le esigenze dell’operatore, sia in termini di resa che in termini di opzioni.
La domanda da porsi a questo punto è: quali sono i vantaggi legati all’utilizzo di un Monitor Medicale specifico per Patologia Digitale? Un’analisi approfondita di questo ultimo aspetto sarà argomento del prossimo articolo.